I pavimenti industriali in calcestruzzo, facenti parte della categoria delle pavimentazioni continue, sono superfici realizzate in opera con tecniche prettamente manuali.
Ciò significa che, a differenza dei pavimenti ceramici, resilienti o lignei, non vengono posati elementi prefabbricati, bensì il pavimento viene realizzato direttamente in cantiere utilizzando la materia prima allo stato grazzo/fluido (il calcestruzzo).
Risulta evidente che tutto ciò che non è prefabbricato non può giovare di un precedente controllo di qualità.
La bravura del pavimentista sta quindi nel trasformare la materia prima in un pavimento di qualità, planare e durevole.
Tutto ciò avviene inoltre con tempistiche stringenti, in quanto dettate dai naturali tempi di indurimento del calcestruzzo, oltre che influenzate da fattori climatici.
In sintesi: il pavimento industriale è un’opera di assoluta artigianalità.
Questa premessa serve non solo ad identificare la natura del pavimento industriale, ma anche a comprendere che i limiti tecnico-estetici di un’opera artigianale non possono essere paragonabili a quelli di un prodotto prefabbricato, replicabile in serie da macchinari industriali.
Il pavimento industriale in calcestruzzo è una superficie progettata e a puro scopo prestazionale, mantenendo bassi costi di realizzo ed una elevata velocità di esecuzione. Salvo specifici accordi contrattuali, l’aspetto estetico del pavimento non viene considerato.
Nel corso dell’ultimo ventennio, anche tramite questo sito, diverse persone mi hanno sottoposto molteplici casi di pavimentazioni in cui si ipotizzavano vizi estetici, tra cui piccoli fori, micro-cavillature di ampiezza inferiore a 0,3 mm, affioramento di fibre, etc..
In quasi tutti i casi, il committente si concentrava su caratteristiche estetiche consone ad un manufatto in calcestruzzo, prive di rischi di reale degrado, omettendo invece di verificare le prestazioni per cui il pavimento è stato pagato! (planarità, resistenza all’abrasione, qualità del calcestruzzo, etc…)
Inoltre occorre evidenziare che la presenza di microfessurazioni è un fenomeno estremamente frequente nei manufatti in calcestruzzo, specialmente di grosse dimensioni ed esposti ad una rapida evaporazione dell’acqua d’impasto.
Lo stesso D.T. 211/2014 del CNR (il documento di riferimento nel settore dei pavimenti industriali) al cap. 11.3.1 si specifica che: “Le cavillature e/o microfessure sono una caratteristica frequente in una pavimentazione industriale in calcestruzzo rifinita con spolvero cementizio in quanto possono dipendere dalle naturali operazioni di finitura e dalle condizioni termo-igrometriche presenti al momento delle lavorazioni e nei primi periodi di indurimento. Possono essere contenute eliminando l’azione diretta del sole e le correnti d’aria. Una corretta stagionatura diminuisce tale fenomeno. Normalmente sono estremamente piccole, tanto da essere spesso individuate solo dopo una preventiva leggera bagnatura della pavimentazione. Le cavillature e/o microfessure a ragnatela non possono essere considerate un difetto, soprattutto se interessano alcune parti limitate della superficie, salvo che tale fenomeno sia accompagnato da distacchi parziali dello strato di finitura.”
Anche nel capitolo successivo 11.3.2 ‘FESSURE’, i criteri di accettazione si concentrano sul possibile degrado conseguente ad esse e mai per limite estetico.
Al capitolo 11.5 si fa riferimento alle difformità cromatiche: “A causa delle naturali differenze cromatiche dei vari materiali utilizzati, delle variabili nelle lavorazioni e delle condizioni ambientali durante la posa, l’aspetto superficiale della pavimentazione potrà presentare differenze cromatiche e colorazioni non uniformi. La colorazione iniziale inoltre tende a variare nel tempo con l’evoluzione del processo di idratazione. Le differenze cromatiche, all’interno di una scala di grigi o crema, possono dunque essere considerate accettabili, purché siano limitate alle caratteristiche dei materiali e non conseguenze di vizi di costruzione (per esempio macchie di umidità di risalita).
[…]
L’omogeneità e la persistenza della colorazione iniziale desiderata potrà essere ottenuta solo mediante successivo trattamento verniciante o in spessore.”
Anche in questo caso, è evidente che le esigenze estetiche/cromatiche non sono coerenti con una pavimentazione industriale in calcestruzzo.
La Sentenza della Cassazione Civile n. 22723 del 25/09/2018 pone ulteriore chiarezza sulla valenza dei vizi estetici in una pavimentazione industriale.
Il caso in oggetto riguardava la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti ai vizi ed ai difetti di costruzione dell’immobile industriale, tempestivamente denunciati e consistenti nella 'scoppiatura' superficiale del pavimento (fenomeno del pop-out) e nelle infiltrazioni d’acqua provenienti dalla copertura del capannone, oltre al risarcimento dei danni conseguenti al mancato utilizzo dell’immobile.
Evitando di riportarvi tutta la sentenza, evidenzio alcuni estratti:
“La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che: – i vizi denunciati ed accertati in primo grado consistono, in primo luogo, nel pop out, che ha interessato la pavimentazione dell’opificio di proprietà della (omissis) s.a.s., ed, in secondo luogo, nelle infiltrazioni, limitatamente al danneggiamento del bocchettone; – gli appellanti hanno censurato la sentenza del tribunale nella parte in cui ha qualificato i vizi riscontrati quali vizi di costruzione ed ha conseguentemente ritenuto l’applicabilità della speciale garanzia prevista dall’art. 1669 c.c.: secondo gli appellanti, infatti, il vizio relativo alla pavimentazione non è idoneo ad incidere negativamente sugli elementi strutturali essenziali dell’opera e, quindi, sulla sua solidità, efficienza e durata, nè sul godimento dell’immobile, avendo rilievo solo con riferimento al suo aspetto decorativo ed estetico.
[…]
la pavimentazione di tipo industriale,… è affetta in tutta la sua superficie dal cosiddetto fenomeno di Pop out, cioè formazione di crateri superficiali a causa della reazione alcali-aggregati dei componenti inerti del calcestruzzo di composizione della pavimentazione stessa”; non fosse, tuttavia, utile – tenuto conto della superficialità del fenomeno (i crateri sono risultati di diametro dell’ordine di 5 mm e della profondità dell’ordine di 2-4 mm), della trascurabile interferenza del superficiale fenomeno con la lavorazioni industriali e che anche le fessurazioni a ragnatela non denotano disgregazioni neppure latenti.
In conclusione la Corte ha quindi ritenuto che:
“…quanto alla pavimentazione, che gli elementi sopra evidenziati consentono di escludere che i vizi accertati siano suscettibili di pregiudicare o menomare in modo rilevante il normale godimento o la funzionalità del capannone destinato ad opificio industriale stante la mancanza di incidenza sullo svolgimento dell’attività industriale ed atteso che, proprio perchè la fattispecie attiene ad una pavimentazione industriale, l’aspetto estetico della pavimentazione non può ritenersi suscettibile di ripercuotersi sulla funzionalità”.
In conclusione: questo articolo non è stato realizzato con l’intento di creare un giustificativo per pavimentisti poco accorti o sminuire i vizi estetici, bensì per far comprendere che i pavimenti industriali vengono progettati, realizzati e pagati a puro scopo prestazionale.
Il calcestruzzo, per sua natura, può presentare microfessurazioni, fori, alveoli, affioramento di fibre, etc. i quali devono essere intesi come caratteristiche estetiche del manufatto e, se non pregiudicano la prestazione o la durabilità dello stesso, non devono essere oggetto di attenzione in fase di collaudo o generare contenziosi.
Ovviamente, l'eventuale diminuzione di durabilità deve essere riscontrabile e non presunta (ad esempio con valutazione della dimensione della lesione).
In caso i vizi riscontrati siano deleteri per l'integrità e funzionalità dell'opera, il costruttore dovrà rimediare con interventi localizzati.
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