Il pavimento è il piano di lavoro di ogni industria, nonché l’unica parte dell’involucro edilizio che deve supportare direttamente il lavoro di carrelli elevatori, macchinari, scaffalature, etc.
Se questo concetto è valido per qualsiasi settore industriale, nella logistica tutto viene elevato all’ennesima potenza.
Nei magazzini logistici il pavimento è difatti soggetto ad un uso particolarmente gravoso, non solo per il traffico intensivo dei carrelli elevatori, ma anche per i carichi statici e dinamici sempre più ingenti.
In questo particolare contesto, il pavimento può essere un fedele compagno di lavoro od un ‘nemico’ che necessità di continue riparazioni, che danneggia i carrelli elevatori, che limita la produttività e che genera continue passività.
Realizzare oggi un pavimento per una logistica, basandosi sugli ‘usi e consuetudini’ di un ventennio o trentennio fa, significa andare contro ad un sicuro e clamoroso fallimento.
I motivi sono abbastanza semplici:
La normativa di riferimento, ovvero il D.T. 211/2014 del CNR, specifica che in caso siano presenti scaffalature di altezza superiore a 8, 13 metri od in presenza di magazzini VNA, le pavimentazioni devono presentare valori di planarità in esercizio molto rigorose.
Elevati valori di planarità sono indispensabili per garantire la sicurezza degli operatori dei carrelli elevatori ma anche per garantire il corretto funzionamento di magazzini VNA o magazzini automatizzati, i quali possono operare a pieno regime solo se il piano di lavoro è conforme.
Nonostante in Italia si dovrebbe far riferimento unicamente alle norme sopra citate, spesso i produttori di sistemi di picking si appellano ai requisiti delle DIN 15185, DIN 18202, così come il Concrete Society Report TR34.
Nella maggior parte dei casi i valori di planarità non sono misurabili ‘manualmente’ con livelli ottici o laser, ma occorre affidarsi a specialisti muniti di profileografi digitali, come quello nella foto a lato (credit: CoGri Engineering).
Non vi nascondo che io stesso, in questa mescolanza di norme e metodi di misurazione, a volte fatico a trovare il bandolo della matassa.
Ciò che appare però evidente e condivisibile, è che il pavimento è una struttura, parte integrante del sistema di picking, che richiede pari considerazione progettuale e che non può essere relegato ad opera di finitura, realizzata sulla base della generica “regola d’arte”.
La maggior parte degli stabilimenti logistici attivi oggi in Italia, è insediato in strutture preesistenti; ciò implica che il pavimento non è stato progettato e realizzato per questa destinazione d’uso.
La conseguenza, immediata ed inevitabile, è che la pavimentazione subisce un rapido e costante degrado, principalmente localizzato in prossimità dei giunti di costruzione e contrazione.
La stessa cosa accade anche in pavimentazioni nuove non adeguatamente progettate e realizzate.
Chiunque operi nel settore della logistica, avrà familiarità con l’immagine a lato.
Purtroppo le pavimentazioni industriali di tipo tradizionale non sono in grado di convivere con un traffico intensivo di carrelli trilaterali muniti di ruote rigide.
I giunti iniziano rapidamente a deteriorarsi e si interviene quindi con riparazioni mediante sistemi a base di resine epossidiche.
Ci si rende poi conto che anche le riparazioni cedono... si cambia il fornitore e poi un altro ancora, nella speranza di trovare il ‘guru’ in grado di offrire una soluzione definitiva che… non c’é.
Arriva quindi la consapevolezza che il pavimento sarà soggetto a frequenti manutenzioni straordinarie, per tutta la sua vita.
Con una pavimentazione progettata e realizzata ad hoc per un magazzino logistico la manutenzione non verrà mai azzerata, ma può essere ridotta ai minimi termini, con un conseguente risparmio di tempo e denaro, che si accumulerà anno dopo anno.
Uno dei problemi principali nel processo di costruzione di un pavimento industriale specifico per la logistica, consiste in una mancanza di progettazione sinergica tra i vari attori coinvolti.
Chi progetta l’involucro edilizio, chi progetta il pavimento e chi progetta il sistema di picking, opera quasi sempre in modo indipendente, senza considerare le reciproche esigenze.
Talvolta invece, chi fornisce il sistema di picking basa il proprio progetto imponendo tolleranze costruttive del pavimento che, di fatto, sono irrealizzabili.
Tutti problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con efficacia, oltre che con contenimento dei costi, se la progettazione avvenisse in modo sinergico prima della posa della prima pietra (cosa che non accade quasi mai).
Attualmente solo pochissimi committenti, edotti da precedenti esperienze negative, hanno intrapreso un approccio costruttivo lungimirante.
La maggior parte delle pavimentazioni viene appaltata e subappaltata al ‘miglior offerente’, sulla base di semplici voci di capitolato che non tengono conto di fattori determinanti per un pavimento specifico per la logistica, come ad esempio la resistenza all’abrasione, la classificazione di planarità, la presenza e la tipologia di giunti, il piano di manutenzione periodica, etc..
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